Nabucco, opera “aperta”

In scena alle Terme di Caracalla fino al 9 agosto. Coro valido, spettacolo convincente. La regia del giovane Federico Grazzini non eccede in interpretazioni che violentano il testo
Il Nabucco

Non è solo il coro Va’ pensiero. Anche se il pubblico, dovunque, anche all’inaugurazione della stagione estiva romana alle Terme di Caracalla, trattiene il respiro, come preso dall’onda magica della verità di una musica dolce e dolente che arriva dritta all’anima.

 

Nabucco non è solo questo. È un microcosmo di opere. Nel senso, che il primo successo verdiano del 1842 – che gli aprì la carriera – contiene in germe i motivi e i temi essenziali del progetto poetico e drammatico del compositore, sviluppati poi durante tutta la vita, sino all’estremo Falstaff.

 

 

Naturalmente, come intuizioni folgoranti e se si vuole anche “primitive”, ma decisive. Il primo è il contrasto tra due popoli: i babilonesi persecutori  e gli ebrei oppressi, col tema del dolore e della nostalgia della patria (se ne vedranno gli sviluppi in Macbeth, Don Carlo, Aida). Il secondo è il personaggio della donna imponente, regale anche se “cattiva”, dominata dalla gelosia (da lady Macbeth, ad Eboli nel Don Carlo, ad Amneris in Aida). Il terzo è il rapporto padre-figlia, qui Nabucco e Fenena (ma lo sviluppo è vasto, da Rigoletto a Simon Boccanegra alla Forza del destino). Il quarto è il ruolo del coro, qui molto presente come comprimario e non solo come decorativo. Nabucco infatti è opera corale-drammatica sulla scia del Moise rossiniano, dotata quindi di una religiosità biblica sentita, ed insieme di scontri passionali sintetizzati in abbozzi e in una scena di “follia”‒ di Nabucco ‒ che anticipa il Macbeth.

 

 

Popolo, religione, amore, dolore: ecco tracciato l’itinerario dei quattro atti del “dramma lirico” su testo di Temistocle Solera. L’edizione a Caracalla ha sfruttato le imponenti rovine per riannodarsi scenograficamente ad essere   una sorta di campo di concentramento dove gli ebrei di allora e di ora (ma qualsiasi popolo perseguitato) vivono nel dolore, pur se incoraggiati da Zaccaria, profeta e leader barbuto in abiti moderni. La scena è quasi tutta qui, nuda e grigia: come il dolore senza risposta? C’è una nota pessimistica infatti che percorre non l’opera ma l’allestimento, quasi a contestualizzarlo nell’oggi.

 

I personaggi agiscono con credibilità, forse con qualche verismo di troppo (Abigaille) ma cercano di movimentare la scena di questo lavoro in fondo più statico che dinamico. Il giovane regista Federico Grazzini non eccede fortunatamente in interpretazioni che violentano il testo, ma cerca di “spiegarlo” in modo convincente, con qualche innovazione: la corona a Nabucco non gliela strappa un fulmine divino, ma una umanissima  e violenta Abigaille.

 

Per il resto, i protagonisti possono fare il loro mestiere, cioè cantare, e la musica verdiana, si sa, è molto bella, fresca, giovane. Il soprano Csilla Boross è attrice irruenta, voce calda ed ampia, l’Ismaele di Antonio Corianò è un tenore dalle notevoli promesse come la Fenena di Alisa Kolosova. Luca Salsi è noto per essere un baritono verace, perfetto in scena, e Nabucco è un suo cavallo di battaglia. Qualche dubbio sullo Zaccaria di Vitalji Kowaliow, in qualche momento – forse per la tensione della “prima”  ‒ stentato.

 

Se il coro è stato valido, l’orchestra ha dato l’impressione di sentire il clima umido della serata, pur se guidata con equilibrio da John Fiore. Spettacolo convincente, davedere nelle repliche sino al 9 agosto.

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